Già lo scorso anno questo gruppo proveniente da Nashville, dal nome misterioso, ci aveva fatto intravedere le sue potenzialità con il più che interessante esordio omonimo. I
Farmer not so John proponevano un tipo diverso di musica roots, più personale ed intima, talvolta con accenti metropolitani, con un suono decisamente stimolante basato su un uso insolito della lap steel guitar. Certo che il leader del gruppo,
Mack Linebaugh, ha una Bella testa (compositivamente parlando), ed anche il resto della band (
Richard McLaurin, coleader,
Brian Ray e Sean Keith) lo segue nel modo migliore, e questo secondo lavoro
Receiver non fa che confermare quanto di buono detto un anno fa.
Musica sana, intelligente e creativa i Farmers (li chiamo così per comodità) non fanno canzoni rock da ascoltare mentre si guida, immediatamente fruibili, ma brani che vanno penetrati, vissuti (prediligono le ballate) e amati senza riserve. Non spaventatevi: non voglio dire che Receiver sia un disco difficile, ma non ha neanche canzoni che si fischiettano dopo un solo ascolto (tranne forse l'opening track
paperthin). McLaurin, in questo disco, usa meno la lap steel, ma la bontà dei brani non ne risente. La già citata
Paperthin è puro country-rock, intro di mandolino, steel alla spalle, melodia spedita e voce roots quanto basta.
Il nostro amico
Matthew Ryan (coautore del brano) è ospite alla chitarra e seconda voce.
Fuse è più lenta e attendista, con batteria ovattata, strumentazione parca ma ben dosata e ottima chitarra;
Consigned to oblivion è invece una grande canzone rock, con palesi venature western e voce perfettamente in parte.
Rise above the wreckage è un altro lento di indubbio fascino, con le sue sonorità sinuose, mentre
For you I will pretend è forse il capolavoro del disco, una ballatona di quelle che si facevano nei seventies, inizio evocativo, come se la melodia arrivasse da lontano, atmosfera da orizzonte di praterie al tramonto, grande motivo e feeling formato cavallo.
Undertow sembra un brano dei Rolling Stones quando fanno country,
No time to please you è rockeggiante,
Me too è forse l'unico brano sotto la media, l'ottima
Grand Bouquet, younghiana fino al midollo, è un'altra rigenerante boccata d'aria fresca. La tenue e delicata
Pen across the page, che conclude l'album, è un commiato in tono minore, ma sempre con uno script di alto profilo. I
Farmer not so John sono una bella realtà: intelligenti, creativi e sicuri di loro stessi. Roots music for the mind.