STEVE EARLE (Copperhead Road)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  30/01/2004
    

Gli orpelli e le trovate iconografiche da metal kid non vi traggano in inganno; Steve Earle non ha subito una metamorfosi artistica tanto radicale. Certo, la stravagante copertina del suo ultimo album induce alle più nefaste previsioni circa il contenuto musicale del disco: teschi e tessuti mimetici, ne converrete, si addicono ad un hell's angel e non al placido country boy del Texas. Ma è pur vero che Steve Earle, rispetto ad altri fieri e tenaci custodi del patrimonio artistico di Nashville (sua città adottiva) è quello che più spesso ha infranto determinate regole stilistiche.
Mentre Dwight Yoakam e Lyle Lovett hanno seguito con sufficiente rigore e indubbia fedeltà gli insegnamenti di Hank Williams o di Jerry Jeff Walker, Steve ha preferito attingere ad un maggior numero di fonti espressive. Anche i precendenti lavori, Guitar Town e Exit O, denotavano una profonda passione per il rock delle radici; in quei solchi si avvertiva un'energia degna più di John Fogerty che di un maestro del country.
Quest'ultimo Copperhead Road segna un ulteriore ampliamento degli orizzonti artistici di Steve Earle, i cui interessi musicali spaziano, ormai, ben oltre i confini del Tennessee. Nonostante l'uso tutt'altro che parsimonioso di strumenti tradizionali quali il mandolino e la steel guitar, il sound risulta ruvido, a tratti violento, dominato da un impeto e da una forza tali da porre Steve Earle sulla stessa lunghezza d'onda di John Cougar Mellencamp e di Joe Ely.
Forse, il giovane rocker di San Antonio non si era mai espresso a livelli tanto convincenti e ricchi d'ispirazione; merito di un'abilità compositiva sempre più solida e del sostegno di musicisti di collaudata esperienza come Larry Crane, già prezioso collaboratore di John Cougar.
Copperhead Road è una continua, sapiente alternanza di brani squisitamente country "Johnny Come Late", ballate dai vaghi riferimenti springsteeniani («Even When I'm Blue» e «Nothing Like a Child») e canzoni come la title track che hanno il potere di coinvolgere e affascinare già dal primo ascolto. A questo punto la definizione di «nuovo tradizionalista» rischia di apparire inadeguata.