I cloni di Springsteen sono ormai come quelli di Dylan, spuntano come funghi dopo un temporale.
Joe D'Urso è forse il più "sfacciato" tra questi perché i suoi dischi e le sue canzoni seguono pedissequamente la formula dei dischi di Bruce, specie quelli di fine anni '70 come Darkness e The River. Ballate piene di polvere e passione, voce carica di sentimento, narrazione enfatica, ambientazione grigia da smalltown di provincia, ruvidi e scatenati rock'n'roll per far "girare" la band verso un crescendo di assoli e ritmo,
Joe D'Urso e i suoi
Stone Caravan hanno imparato a memoria la lezione e la ripropongono attendendosi strettamente al tema omettendo il sax e mettendo sempre la chitarra acustica in primo piano nella canzone. Dopo
RockLand e l'applaudito
Mirrors, Shoestrings and Credit Cards anche
Glow batte lo stesso chiodo e consegna un rocker che è fatto su misura per piacere ai lettori di Backstreets, Rosalita e di tutte quelle fanzines che da più di dieci anni portano avanti il verbo del Boss.
Peccato che la minestra sia sempre la stessa e che oggi sembri un tantino riscaldata, rischiando pertanto di rovinare un genere che non di fotocopie ha bisogno ma di innesti di freschezza e creatività. Lo stesso Springsteen è diventato cinquantenne senza sembrare sempre ventenne, allo stesso modo il suo rock non deve impaludarsi in fiacche ripetizioni che hanno come risultato non quello di portare avanti uno stile ma affossarlo in un revival di derivazioni tout court. Per fare un esempio,
Joe Grushecky è una derivazione del rock springsteeniano ma i suoi dischi e i suoi show hanno quel quid di personalità e di creatività che li distingue dalla clonazione in provetta.
Joe D'Urso è giovane, pieno di entusiasmo ma forse pecca di ingenuità. I suoi eroi musicali sono Bruce e Grushecky, Steve Wynn e Willie Nile, Graham Parker e Warren Zevon ma non gli si chiede di essere uguale a questi per essere accettato, solo mostrare qualche idea nuova ed intelligente per poter rivitalizzare uno stile che è ormai storia e che viaggia con gambe proprie.
Glow è un disco onesto, costruito con le proprie mani e le proprie forze e nonostante i difetti forse il miglior lavoro di Joe D'Urso fino ad oggi. Le canzoni sono pregevoli e le sonorità in linea con il formato The River Rispetto a Mirrors ... è meno prolisso e dispersivo e realizzato attorno all'idea di un album vero e proprio e non una collezione di canzoni. Il titolo è preso da un testo trovato in casa da D'Urso e scritto dalla madre come lettera d'amore al padre in un momento felice della loro unione. È una testimonianza toccante perché risulta una dedica alla madre, scomparsa durante la registrazione del disco. Lo scritto fu trovato proprio il giorno prima del suo funerale.
L'amore, la fiducia negli altri, l'amicizia, le relazioni umane sono i temi cari a Joe D'Urso che spesso fanno da ispirazione alle canzoni di Glow, un album fatto di sana allegria rock'n'roll ma anche di tristezze, riflessioni, ripensamenti e che colgono quel passaggio esistenziale che intercorre tra la gioventù e la fase più adulta della vita di un uomo. Ogni canzone, nel booklet del disco, è accompagnata dalla spiegazione dell'autore e ciò contribuisce a conoscere più dettagliatamente la poetica di D'Urso.
Glow, proprio come certi dischi di Bruce, è fatto di ballate lente e di focosi rock'n'roll in un'alternanza abbastanza rigorosa e la voce di D'Urso, modulata sulle tonalità calde e partecipate del rocker del New Jersey, avvalora ancor di più le similitudini tra i due tanto da togliere qualsiasi effetto sorpresa nella successione dei brani.
Tra le cose che mi sono piaciute di più c'è il rock arioso e autostradale di
Looking For You e la ballata venata di malinconia di
Spinning World, costruita su un buon lavoro di chitarra acustica e di organo. Il colore della voce di Joe D'Urso è
blue c'è un senso di disillusione prima che
Carry On, song fresca e sbarazzina che sembra un tip tap in chiave folk rock, riporti speranza col suo testo sulla fiducia e l'amicizia.
Chances Of Love è invece un pezzo alla Gary U.S. Bonds che con foga ribadisce le influenze R&B della sua musica,
The Key è invece una ballata lenta con organo e piano che appartiene alla stirpe delle Stolen Car e Fade Away (con tutte le differenze del caso) e
Leonard Cohen, scritta dopo aver fatto la conoscenza del grande autore canadese il giorno che la band debuttava per la prima volta al CBGB, è un'altra ballad cupa e dolente, con un'atmosfera newyorchese ed un azzeccato finale di chitarra elettrica. I momenti buoni non si esauriscono qui perché, al di là dei limiti di originalità detti prima, il livello qualitativo delle canzoni è pregevole e
Joe D'Urso nella sua sincerità fa quasi tenerezza.