La cosa che più mi soprende di
Willy DeVille è che, quando leggo qualche enciclopedia rock americana, il suo nome non appare. Infatti, per una strana alchimia di eventi, Willy, ex Mink, è uscito dalla mente dei curatori di enciclopedie rock americane, e non c'è verso di farlo tornare, malgrado alcuni suoi dischi recenti, vedi l'ottimo «
Backstreets of desire», siano stati pubblicati anche sul suolo statunitense.
Seccante quanto geniale, impulsivo quanto generoso, DeVille si è tagliato i ponti con la stampa americana e, sopratutto, con i discografici Usa: eppure il nostro, che da tempo si è stabilito nella colorita New Orleans, è uno dei musicisti più creativi e preparati che, da ormai lungo tempo, calcano le scene mondiali. Recentemente, dopo lo sfortunato ma positivo «
Miracle», si è rifatto un nome, ovviamente presso un pubblico dal palato fine, con dischi come il già citato «
Backstreets» o l'eccezionale «
Live», inventandosi una cover sfavillante di «
Hey Joe» e dando più senso e forma a quel suono colorito che, fin dagli inizi della sua carriera, si è sempre portato dietro, a guisa di marchio.
Infatti DeVille ha un talento che trascende qualunque categorizzazione: è un musicista baciato dalla fortuna (dal punto di vista creativo, non da quello dei rapporti interpersonali o del successo su larga scala) che riesce a fondere, con estrema naturalezza, blues, rock e musica latina in una solida base rhythm and blues: questa miscela al fulmicotone da luogo ad un suono che è evocativo e personale al tempo stesso.
Negli anni ha affinato la sua vocalità ed è migliorato nella scrittura e, con la sua ultima formazione, capitanata dal talentoso chitarrista
Freddy Koella, ha saputo raggiungere sonorità talmente brillanti e piene di feeling da fare invidia al più caliente dei performers latini. «
Hey Joe» lo ha fatto conoscere ad una buona fetta di pubblico, almeno qui nella vecchia Europa, Italia compresa, ed ha dato il là alla rinascita della sua carriera: non per nulla ora il nostro esce sul mercato con ben due dischi, uno di incisioni inedite dal vivo («
Big easy fantasy»), il secondo, questo «
Loup Garou» (Lupo mannaro), nuovo a tutti gli effetti.
Registrato in studio con alcuni musicisti di vaglia:
Davey Faragher e Michael Urbano (sono la sezione ritmica di
John Hiatt), l'amico Freddy Koella alla chitarra e con la produzione di John Philip Shenale, Willy ha realizzato uno dei suoi dischi migliori. Rilassato e molto colorito «
Loup garou» è un bel disco, scintillante nei suoni, legato alla musica fine cinquanta/primi sessanta che, da sempre, ha influenzato il nostro.
La ricchezza musicale di New Orleans traspare da ogni solco e questo pirata del rock, look alla Capitano uncino, con tanto di pizzi e camice svolazzanti, baffetti e spada che spunta sotto l'ampia cintura, stivale al ginocchio e sigaretta lunga costantemente nelle labbra, ha portato a termine un disco vario e di buon valore, nell'ambito della sua ormai corposa discografìa.