A.J. CROCE (Fit to Serve)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Essere figli d'arte non sempre è una fortuna: i padri mandano ombre pesanti sugli eredi e le tradizioni familiari non sempre reggono i ritmi del rock'n'roll. Adrian James Croce è un caso a parte: un po' perché chiamarsi Croce di cognome (con tutto il rispetto per il buon Jim) non è come dire Lennon, Marley o Dylan e un po' perché lui si è inventato in gran fretta una carriera notevole, soprattutto per via di «That's Me In The Bar» e per questo «Fit To Serve», che è un gran bel disco.
La scelta di A.J. Croce è stata vincente: non ci sono più tutti i grossi nomi di «That's Me In The Bar» (prodotto da Jim Keltner, con Ry Cooder, Billy Paine, Waddy Watchel e David Hidalgo) ma solo la sua band e un esperto navigatore quale Jim Gaines, abituato tanto ai cantautori (Van Morrison) quanto ai fenomeni (Stevie Ray Vaughan). A.J. Croce è un po' tutte e due le cose: suona il piano dall'età di sei anni e da suo padre ha imparato che non c'è una buona canzone se non hai una bella storia da raccontare.
Il resto l'ha raccolto strada facendo e lo mette in bella mostra in «Fit To Serve»: gran ritmo, fiati in abbondanza, ottime versioni di «Cry To Me» (davvero notevole) e di «Judgement Day» (Skip James), una voce abituata agli eccessi notturni, al fumo e al whiskey ma capace anche di cantare dolcezze in una «Lover's Serenade». Difficile sviscerare tutti i particolari canzone per canzone (ce ne sono tredici) perché «Fit To Serve» offre un'enorme spettro di sonorità, di raffinatezze e di varietà strumentali: c'è un po' di Stevie Wonder in «So In Love», c'è Scott Joplin nel ragtime all'inizio di «Trouble In Mind» (poi diventa un rock'n'roll che non spiacerà a Buster Poindexter), c'è un filo di Randy Newman in «Count The Ways», ci sono chitarre elettriche e organi che dialogano costantemente insieme al pianoforte e c'è un cantante, A.J. Croce, capace di creare un'atmosfera con quattro tasti bianchi e neri e un paio di ritornelli.
In «Fit To Serve» c'è anche qualcosa in più, e si sente subito dall'inizio: la title track ha un attacco perentorio e percussivo e, se non danno fastidio i paragoni, sembra di sentire Dr. John con i Little Feat. La canzone dopo, «I Don't Mind», è sullo stesso piano: c'è l'unico drum'n'bass che valga la pena di ascoltare perché effettivamente basso e batteria fanno i numeri e, mentre i fiati evocano le big band di Duke Ellington, ci si aspetta un cameo di James Brown da un momento all'altro.
Ci sarebbe da dire del gran finale fiatistico di «Texas Ruby», omaggio ad una delle dichiarate passioni di A.J. Croce, Ray Charles, o ancora del r'n'r di «Too Late» ma arrivati a «Nobody Else», cioè alla fine, l'impressione è che con «Fit To Serve», A.J. Croce abbia messo una pietra definitiva sul figlio d'arte, sull'immagine after hours di «That's Me In The Bar» e anche su Tom Waits dandosi la libertà di spaziare nella musica che ama (dal Delta blues al rock'n'roll attraverso il soul e il rhythm'n'blues).
Quindi, il piatto (guardate un po' la copertina) ne ha per tutti i gusti e rinunciarci, sempre che non siate a dieta, sarà ben difficile.