Essere figli d'arte non sempre è una fortuna: i padri mandano ombre pesanti sugli eredi e le tradizioni familiari non sempre reggono i ritmi del rock'n'roll.
Adrian James Croce è un caso a parte: un po' perché chiamarsi Croce di cognome (con tutto il rispetto per il buon Jim) non è come dire Lennon, Marley o Dylan e un po' perché lui si è inventato in gran fretta una carriera notevole, soprattutto per via di «
That's Me In The Bar» e per questo «
Fit To Serve», che è un gran bel disco.
La scelta di A.J. Croce è stata vincente: non ci sono più tutti i grossi nomi di «
That's Me In The Bar» (prodotto da Jim Keltner, con Ry Cooder, Billy Paine, Waddy Watchel e David Hidalgo) ma solo la sua band e un esperto navigatore quale Jim Gaines, abituato tanto ai cantautori (Van Morrison) quanto ai fenomeni (Stevie Ray Vaughan).
A.J. Croce è un po' tutte e due le cose: suona il piano dall'età di sei anni e da suo padre ha imparato che non c'è una buona canzone se non hai una bella storia da raccontare.
Il resto l'ha raccolto strada facendo e lo mette in bella mostra in «
Fit To Serve»: gran ritmo, fiati in abbondanza, ottime versioni di «
Cry To Me» (davvero notevole) e di «
Judgement Day» (Skip James), una voce abituata agli eccessi notturni, al fumo e al whiskey ma capace anche di cantare dolcezze in una «
Lover's Serenade». Difficile sviscerare tutti i particolari canzone per canzone (ce ne sono tredici) perché «
Fit To Serve» offre un'enorme spettro di sonorità, di raffinatezze e di varietà strumentali: c'è un po' di Stevie Wonder in «
So In Love», c'è Scott Joplin nel ragtime all'inizio di «
Trouble In Mind» (poi diventa un rock'n'roll che non spiacerà a Buster Poindexter), c'è un filo di Randy Newman in «
Count The Ways», ci sono chitarre elettriche e organi che dialogano costantemente insieme al pianoforte e c'è un cantante, A.J. Croce, capace di creare un'atmosfera con quattro tasti bianchi e neri e un paio di ritornelli.
In «
Fit To Serve» c'è anche qualcosa in più, e si sente subito dall'inizio: la title track ha un attacco perentorio e percussivo e, se non danno fastidio i paragoni, sembra di sentire Dr. John con i Little Feat. La canzone dopo, «
I Don't Mind», è sullo stesso piano: c'è l'unico drum'n'bass che valga la pena di ascoltare perché effettivamente basso e batteria fanno i numeri e, mentre i fiati evocano le big band di Duke Ellington, ci si aspetta un cameo di James Brown da un momento all'altro.
Ci sarebbe da dire del gran finale fiatistico di «
Texas Ruby», omaggio ad una delle dichiarate passioni di A.J. Croce, Ray Charles, o ancora del r'n'r di «
Too Late» ma arrivati a «
Nobody Else», cioè alla fine, l'impressione è che con «
Fit To Serve», A.J. Croce abbia messo una pietra definitiva sul figlio d'arte, sull'immagine after hours di «
That's Me In The Bar» e anche su Tom Waits dandosi la libertà di spaziare nella musica che ama (dal Delta blues al rock'n'roll attraverso il soul e il rhythm'n'blues).
Quindi, il piatto (guardate un po' la copertina) ne ha per tutti i gusti e rinunciarci, sempre che non siate a dieta, sarà ben difficile.