TOM OVANS (Still in this World)
Discografia border=Pelle

  

  Recensione del  31/01/2004
    

Sempre dignitoso e uguale a sé stesso, Tom Ovans prosegue imperterrito sulla sua strada con un disco che, a dir la verità, si fa fatica a distinguere dagli altri. Questo è forse il limite maggiore della produzione di Tom Ovans, quello di costruire canzoni su un unico basamento e mettere insieme album che si assomigliano troppo l'uno all'altro. Un limite che implica un congelamento del proprio pubblico se non addirittura un ridimensionamento.
È un peccato che sia così perché anche se Tom Ovans non appartiene alla schiera eletta degli originali, è pur sempre un interessante e onesto folk-rocker, capace con uno stile vocale e musicale dylaniano di catturare quell'America dimenticata e perdente che staziona alle fermate del Greyhound o abita i quartieri lowclass delle cittadine della profonda provincia americana. Still In This World è ancora una volta la fotografia romantica e desolata di questo mondo. Madri che se ne sono andate in Arkansas, Padri che fanno i fighi, Incontri sulla strada, strade scure, due amanti che si baciano sotto il ponte della metropolitana, la notte che vidi il diavolo, quello di Tom Ovans è il racconto spicciolo di un' America disperata e silenziosa che affiora talvolta in qualche film e qualche romanzo, ad esempio nei racconti minimalisti di Raymond Carver.
Tom Ovans la canta con onestà artistica e rispetto, appoggiandosi a un folk-rock scarno e spartano, caratterizzato da una voce che esce dal naso, dall'agro lavoro di una chitarra acustica e un'armonica e dal semplice accompagnamento di basso e batteria. A volta spunta un organo e una chitarra elettrica ma è solo perché in quel pezzo la rabbia prende il sopravvento sulla malinconia e allora la storia di un perdente diventa la storia di una fuga. In California, in galera o in cielo. Strano tipo questo Tom Ovans, Cappello da cowboy, giubbotto di pelle, jeans lisi e stivali, sembra l'ultimo erede di quella dinastia iniziata con Bob Dylan e Townes Van Zandt che oggi a fatica riesce a vivere nelle pieghe di una musica che il cuore e la poesia le hanno perse tanto tempo fa.
Lui non se ne duole più di quel tanto, non finge di abitare in paradiso perché le sue ballate continuano a essere dolorose e a infondere tristezza ma col piccolo managment della bella moglie Lou Ann Bardash persegue la sua piccola crociata contro l'America dei grandi numeri e della fanfara supertecnologica. Canta e suona come si faceva il mese prima dell'uscita di Highway 61 Revisited e se qualche volta il folk di protesta segna il passo allora è un'atmosfera scura, delirante e un po' gotica, come se i 16 Horsepower avessero ingaggiato Johnny Dowd come cantante, a prendere piede. Succede in The Night I Saw The Devil, un brano a tinte fosche e notturne che ben si colloca sulla scia di quel gothich-hillibilly che tanto piace alle nuove generazioni dell'alternative country.
Ma è solo un episodio perché il seguente I Got A Feeling For You ritorna a parlare il linguaggio del più magro folk di strada, come se Ovans fosse ritornato al suo abituale pubblico di homeless e poveri diavoli davanti alla stazione del Greyhound. Anche i perdenti hanno bisogno del loro Dylan.