Avviso agli appassionati di Jackson Browne, David Crosby, del Neil Young d.o.c. e di quella California che tutti chiamavano West Coast: è tornata l'ora di ballate morbide e asciutte, di melodie che lasciano il segno, di sogni di sole e di buon vino. Il protagonista di questa rivisitazione d'annata è
Neal Casal che si conferma come la voce più autorevole per rispolverare la strumentazione d'epoca: «
The Sun Rises Here» ha più personalità di «
Fade Away Diamond Time» e più soluzioni rispetto a «
Rain, Wind & Speed» e ad emergere, alla fine, non è soltanto un disco perfetto per il primo sabato pomeriggio primaverile che non avrete voglia di far niente o per farvi una cassetta che non uscirà più dallo stereo della macchina, ma anche un song-writing maturo e un'attitudine verso i musicisti e gli arrangiamenti (il produttore è lo stesso Neal Casal) che suona semplice, discreta, minuziosa.
In due parole, sobria ed elegante. Fin dall'inizio: «
Today I'm Gonna Bleed» è una ballata immediata, con un'armonia eccellente tra chitarre elettriche e acustiche ed è una perfetta via di mezzo tra «
Fade Away Diamond Time» e «
Rain, Wind & Speed». Il merito, oltre di Neal Casal, è dei musicisti che suonano in «
The Sun Rises Here»: Don Heffington alla batteria, John Ginty tra piano e organo, James Hutch Hutchinson al basso e Greg Leisz che tocca tutte le corde (chitarra acustica, mandolino, pedal steel) disponibili. A gente così basta una settimana per dar forma alle canzoni, senza strafare e mettendo le note giuste dove servono.
Per questo «
On The Mend» ha gli stessi accordi di «
Wildflowers» (Tom Petty, un altro californiano d'adozione), «
Dandelion Wine» suona come un'outtake di «
Interstate City» di Dave Alvin e «
Best To Bonnie» sembra rotolata via dal bus di «
Running On Empty». Non si tratta di imitazioni, perché
Neal Casal ha personalità da vendere (la voce, soprattutto, è riconoscibilissima) e almeno una canzone, «
Reason» che vale da sola il prezzo che bisognerà pagare per «
The Sun Rises Here».
Comincia con la stessa andatura di «
Free To Go» (su «
Fade Away Diamond Time») ma poi una chitarra elettrica (lo stesso Neal Casal) riporta ai tempi in cui Stephen Stills suonava con Jimi Hendrix e Timothy Leary si candidava a governatore della California. Un po' di acidità non guasta mai, specie se viene concentrata in pochi minuti, ed ha l'effetto di far risaltare il corpo centrale di «
The Sun Rises Here», quelle ballate elettro-acustiche che appartengono ad una schiera ristretta di song-writer (penso a Joe Henry, per esempio), troppo pigri per essere rocker e poco malinconici per sentirsi dei nuovi Tim Buckley. «
Angelina», «
Halfway Through The Town», «
The New Jenny Jenkins», «
Real Country Dark» e «
The Last Of My Connections» (con un grande lavoro d'equipe di tutti i musicisti) sono la California più cool del momento e «
The Sun Rises Here» un disco da gustare con pazienza. Fino alla ghost track, che è uno scherzo di pochi secondi e sembra uscire da una session di David Bromberg, mille anni fa.