NEAL CASAL (The Sun Rises Here)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Avviso agli appassionati di Jackson Browne, David Crosby, del Neil Young d.o.c. e di quella California che tutti chiamavano West Coast: è tornata l'ora di ballate morbide e asciutte, di melodie che lasciano il segno, di sogni di sole e di buon vino. Il protagonista di questa rivisitazione d'annata è Neal Casal che si conferma come la voce più autorevole per rispolverare la strumentazione d'epoca: «The Sun Rises Here» ha più personalità di «Fade Away Diamond Time» e più soluzioni rispetto a «Rain, Wind & Speed» e ad emergere, alla fine, non è soltanto un disco perfetto per il primo sabato pomeriggio primaverile che non avrete voglia di far niente o per farvi una cassetta che non uscirà più dallo stereo della macchina, ma anche un song-writing maturo e un'attitudine verso i musicisti e gli arrangiamenti (il produttore è lo stesso Neal Casal) che suona semplice, discreta, minuziosa.
In due parole, sobria ed elegante. Fin dall'inizio: «Today I'm Gonna Bleed» è una ballata immediata, con un'armonia eccellente tra chitarre elettriche e acustiche ed è una perfetta via di mezzo tra «Fade Away Diamond Time» e «Rain, Wind & Speed». Il merito, oltre di Neal Casal, è dei musicisti che suonano in «The Sun Rises Here»: Don Heffington alla batteria, John Ginty tra piano e organo, James Hutch Hutchinson al basso e Greg Leisz che tocca tutte le corde (chitarra acustica, mandolino, pedal steel) disponibili. A gente così basta una settimana per dar forma alle canzoni, senza strafare e mettendo le note giuste dove servono.
Per questo «On The Mend» ha gli stessi accordi di «Wildflowers» (Tom Petty, un altro californiano d'adozione), «Dandelion Wine» suona come un'outtake di «Interstate City» di Dave Alvin e «Best To Bonnie» sembra rotolata via dal bus di «Running On Empty». Non si tratta di imitazioni, perché Neal Casal ha personalità da vendere (la voce, soprattutto, è riconoscibilissima) e almeno una canzone, «Reason» che vale da sola il prezzo che bisognerà pagare per «The Sun Rises Here».
Comincia con la stessa andatura di «Free To Go» (su «Fade Away Diamond Time») ma poi una chitarra elettrica (lo stesso Neal Casal) riporta ai tempi in cui Stephen Stills suonava con Jimi Hendrix e Timothy Leary si candidava a governatore della California. Un po' di acidità non guasta mai, specie se viene concentrata in pochi minuti, ed ha l'effetto di far risaltare il corpo centrale di «The Sun Rises Here», quelle ballate elettro-acustiche che appartengono ad una schiera ristretta di song-writer (penso a Joe Henry, per esempio), troppo pigri per essere rocker e poco malinconici per sentirsi dei nuovi Tim Buckley. «Angelina», «Halfway Through The Town», «The New Jenny Jenkins», «Real Country Dark» e «The Last Of My Connections» (con un grande lavoro d'equipe di tutti i musicisti) sono la California più cool del momento e «The Sun Rises Here» un disco da gustare con pazienza. Fino alla ghost track, che è uno scherzo di pochi secondi e sembra uscire da una session di David Bromberg, mille anni fa.