Richard Buckner, Fresno 1964, è un musicista personale. Viene incluso nell'ambito della musica country, ma non è country, assolutamente. Il suo background lo si può trovare nella musica di molti artisti, da Hank Williams a Richard Thompson, da Joe Henry a Butch Hancock, da Bob Dylan e Gram Parsons, da Terry Allen a Townes Van Zandt. Ma non assomiglia a nessuno. Proprio a nessuno. Buckner è (musicalmente parlando) un introverso: gioca con le note, usa la voce per fare le melodie e usa gli strumenti per fare da cornice alla voce.
Ma la sua struttura musicale è più da folk-singer che da rocker, mentre la sua musica non è nemmeno folk. Si può dire comunque che Buckner, con soli tre album in quattro anni, si è costruito uno stile proprio. Dannatamente personale. L'esordio,
Bloomed ('94), è il più nella norma, quasi country, parco nella strumentazione, ma abbastanza logico nella struttura musicale. Ma
Devotion + Doubt ('97) si colloca in modo decisamente diverso dal suo predecessore. Suoni spezzati, canzoni scarne, voce, solo voce, voce e chitarra, un basso, un piano, raramente assieme, voce chitarra batteria, voce.....Una scrittura torturata, una espozione sonora non immediatamente fruibile. Eppure quel disco, una volta entrato in circolo ne esce a fatica. Buckner è un architetto di suoni: compone piccole canzoni e poi le lega, le unisce, le fa sembrare una sola, lunga, canzone.
E
Since comincia dove
Devotion + Doubt ci aveva lasciato. 16 canzoni, quasi quaranta minuti di musica, che si condensano in una sola lunga, coinvolgente canzone. Non ho mai parlato con Richard, mi piacerebbe farlo: la sua musica esprime un'essenza di serietà che raramente ho ascoltato nella musica di altri. Ballate spoglie e profonde, ballate che parlano di solitudine e desolazione, di paesaggi mozzafiato e di piccole storie senza importanza. Una musica interiore da ascoltare, brano dopo brano, che ha il potere di catturare e di scendere nel profondo del cuore.
Richard non è classificabile, si rifa alle radici ma non è roots, ci sono echi di rock, ma lui lo sfiora soltanto: è un cantautore, puro e personale, niente di più, niente di meno.
Since è il suo disco più bello, unitario, profondo e toccante. L'autore è cresciuto, e molto. Lo accompagnano musiciti non molto noti, ma di bravura indiscussa: Syd Straw, Eric Haywood, John McEntire, Dave Schramm, John David Foster, Chris Cochrane, Steve Burgh e David Grubbs. Il resto è tutto nella sua voce profonda e personale e nelle sue canzoni. Difficile descrivere i brani. Il disco va ascoltato, e più volte, nella sua entità. E lo si apprezza in toto, perché da un brano elettrico si passa ad uno acustico, e c'è il bisogno di sentire l'oasi acustica, dopo lo scroscio di chitarre, un bisogno forte.
Buckner sa costruire ad arte la sua musica, la pensa a lungo e regala emozioni vere, come di rado un cantautore alle prime armi è in grado di dare. Solo per la cronaca trascrivo qualche titolo:
Raze, perla acustica,
Believer, elettrica e chitarristica,
Faithfull Shooter, ancora elettrica ma fortemente introspettiva,
Ariel Ramirez, splendida ballad intimista voce e chitarra.
Jewelbomb, puro heartland rock, con un bel motivo di fondo,
The Ocean Cliff Clearing, altro intenso momento acustico. Ci sono poi tre canzoni, molte legate (ma tutto il disco lo è), che sintetizzano l'assoluta bellezza di questo album:
Slept, intensa ballata dai toni autunnali, cantata con voce profonda,
Pico, breve interludio di chitarra,
Coursed, aperta da un basso diventa poi una tersa composizione elettrica di assoluta bellezza.