Anche nell'impostazione grafica, oltre che nelle atmosfere generali,
Fleeting Days sembra essere il seguito naturale dell'ottimo
New American Language, disco che, come si dice in questi casi, ha riposizionato
Dan Bern. Non tanto in termini di mercato e notorietà, perché i dati sono quelli e così sembrano destinati a restare a lungo.
Piuttosto,
New American Language sembra aver cominciato una svolta importante che
Fleeting Days in parte conferma e un po' sviluppa aggiungedoci altre novità. Quella più rilevante è l'esistenza di un ruolo di maggior importanza per la rock'n'roll band che lo segue.
Jake Coffin (batteria)
Brian Schey (basso)
Eben Grace (chitarre)
Wil Masisak (tastiere) sono ormai una parte irrinunciabile nel nuovo linguaggio di Dan Bern.
Senza dimenticare l'ispirazione principale (Bob Dylan, che torna a farsi sentire nel talking blues di
Fly Away), Fleeting Days ha poi l'incombenza di mettere in luce accenti apparentemente distanti: un'ironia di stampo Kinks in
Superman (e il titolo aiuta), una spolverata di scioglilingua del catalogo di Elvis Costello (
Eva, Jane), persino una canzone,
Baby Bye Bye, che, pur riciclando i cliché e i temi già scritti da Steve Earle si dipana bene, grazie anche all'interpretazione di Dan Bern.
La chiave di volta è proprio lui, capace di districarsi nei suoni garage di
Crow così come quelli acustici di
I Need You (non memorabile) o
City che ricorda persino John Prine. Basta un dettaglio per scoprire un riferimento, un'influenza, ma poi ci sono canzoni che indicano una personalità forte, coraggiosa, ormai padrona dei propri mezzi:
Closer To You, una ballata cupa e intensa o
Graceland (di tutti gli omaggi a Elvis, questo è uno dei più sentiti) o, ancora,
Soul, che chiude
Fleeting Days con forti sapori gospel, chitarre acustiche e due accordi di piano. Ad un altro livello (superiore, decisamente) sta invece
Don't Make Me Leave, una canzone che, oltre ad essere magnifica, aggiunge alcuni colori alla tavolozza di Dan Bern che neanche
New American Language accennava.
Comincia con un tempo allegro, la batteria quasi jazzy, poi il piano e le chitarre swinganti, l'andamento molto Van Morrison e Dan Bern che confeziona un'interpretazione da grande cantante, come se già oggi fosse qualcosa in più dell'ultimo songwriter. Forse era già evidente con
New American Language e Fleeting Days non fa che aggiungere qualche certezza alla transizione cominciata: a
Dan Bern manca poco, pochissimo per sfoderare il suo capolavoro a quattro stelle. Ci vorrà ancora un po' di tempo, ma, alla luce di
New American Language e Fleeting Days e salvo imprevisti, non ci sono dubbi che arriverà.