DAN BERN (Fifty Eggs)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

«Ho le palle grosse come pompelmi». Così inizia l'attesissimo secondo album di Dan Bern, terzo lavoro se contiamo anche l'ottimo mini-cd uscito qualche tempo fa. Chi aveva qualche dubbio (pochissimi per la verità) può stare tranquillo: questo Fifty Eggs (ma quante frittate devi fare, Dan?) è un ottimo lavoro e Bern si conferma artista davvero interessante e di notevole spessore. Ben prodotto da Ani DiFranco, il ed in realtà è un film pulp in cui i molti personaggi (Mohammed Ali, Van Gogh, Madonna, Santa Claus, Andie McDowell, Mozart e gli alieni, solo per citarne alcuni) interagiscono in mondi dove non esistono malattie incurabili, in posti dove «nessuno parla inglese ma tutti mi capiscono» e dove Gesù, seccato, dice: «riprendetevi questa fottuta croce... io vado a fare un giro in città».
13 sono le canzoni presenti (ma l'ultima e orecchiabile Suzanne non è segnalata), tutte belle e intense... Storie inquietanti e così paradossali da sembrare vere, affiancate a momenti di rara dolcezza. Come Oh Sister o come Monica, brano che parla dell'accoltellamento della tennista Monica Seles. Fifty Eggs è un album che legge il presente, lo analizza, ne illumina i lati oscuri. Le sue canzoni sono di quelle che, di solito, creano legami forti con il pubblico. E se Everybody's Baby sembra il seguito di Every Night about this Time (Dave Alvin), Monica farebbe ottima compagnia alla canzone che Loudon Wainwright III aveva scritto sulla pattinatrice Tonya Harding.
Da segnalare anche la toccante interpretazione di One Dance (in America è un singolo), l'energetica Chick Singers (insieme a Missing Link uno dei brani in cui più si sente la mano della DiFranco) e il folk reggae di Different Worlds, canzone che parla (in modo simpatico e leggero) di bianchi e di neri, e di come i loro piccoli gesti quotidiani evidenzino le loro differenze. Innegabilmente dylaniano, sfacciatamente alternativo, Dan si muove rumorosamente tra poesia e canzone.
Il suo è un folk nervoso, per niente bene educato, pieno di salutarie contraddizioni e di improvvisi squarci melodici. Così, la scura Jesus Freak sembra estratta dal repertorio dei Soul Asylum e la surreale Cure for AIDS sembra più un augurio che un sogno impossibile: «Il giorno che trovarono la cura contro l'AIDS sono andato a letto con Cindy, Martha e Sue, e poi ancora con Julie, Melissa e Kate. (...)
Per sei mesi nessuno andò a lavorare e ci furono orge ovunque
». Dan Bern e la sua caustica, corrosiva critica sociale sono tornati, quindi, e i tradizionalisti possono rassegnarsi: se un tempo il folk parlava di immigrazione clandestina, di razzismo e di fuorilegge, è giusto che i folkies di oggi affrontino temi come l'AIDS, la mutazione genetica e le contraddizioni della società moderna.