Subito, di primo acchito, c'è la voce: una bella voce, un pò roca, come se Rod Stewart avesse fatto dei gargarismi per liberare la sua gola o John Hiatt avesse smesso di fumare, poi, alla spicciolata, arrivano le canzoni. Una manciata di belle canzoni, poco etichettabili, ballate, roots oriented songs, canzoni con le radici giuste, canzoni semplici che si ascoltano tutte d'un fiato, come «
You» o «
Astral freak», come «
Meet the press» o «
Here in the mountain».
Le influenze: mah, un po' tutto, da Graham Parker a John Hiatt, dal Boss all'irlandese di ferro, quello che noi (a detta delle malelingue) nominiamo ad ogni piè sospinto: ma poi, a conti fatti, Arnold assomiglia a sé stesso. Buona musica rock, quindi, solida, che bada al contenuto: canzoni che si ispirano alla più classica tradizione americana, che hanno in nuce una bella scrittura e che si elevano dalla massa e, sopratutto dal mediocre qualunquismo, per essere arrangiate in modo molto semplice ma decisamente funzionale.
Ben Arnold proviene da Philadelphia, ha 32 anni ed è alla sua seconda prova solista: il primo disco, uscito per una indie locale (quindi difficile da trovare, anche perche pubblicato più di sei anni fa) si intitola «
Soar» (buona ricerca) ed ha venduto, con le sole forze del nostro, più di duemila copie. Non conosco «
Soar» ma posso tranquillamente affermare che «
Almost speechless» è già un lavoro maturo che cresce, questo è importante, alla distanza. Belle ballate, ben scritte e cantate con voce adeguata, sempre in bilico tra musica rock e canzone d'autore, con quel feeling particolare che solo gli autori, quelli con la A maiuscola, sono in grado di infondere alla propria musica.
«
Almost speechless» scorre via tutto d'un fiato, non ci sono pause o canzoni sottotono, né brani sovra arrangiati: Ben usa i suoi musicisti (Barde Maguire, Chris Colucci, Michael Mosely, Eric Hammarberg e Steven Achenbach), buoni strumentisti, e lascia scorrere le canzoni in modo fluido, in libertà. Se «
You» può essere considerata una grande ballata, «
Meet the press» e «
Light of love» sono degne del miglior Hiatt, «
Astral freak» è un quadretto gustoso, «
Apples and oranges» ha delle liriche pungenti (come pure la canzone precedente), «
Here in the mountain» è quasi parlata e soprendente. L'album continua su questi livelli: non c'è una canzone sotto la media, le liriche sono spesso al vetriolo e la strumentazione contenuta ma dosata al punto giusto, con grande uso di chitarre elettriche, ritmica quadrata e tastiere mai invadenti.