Dagli e rìdagli e Dave ha superato Phil. Quando i Blasters stavano ancora assieme Phil Alvin era considerato la mente e Dave il braccio: poi i due hanno deciso di separarsi ed i Blasters hanno chiuso per sempre (o quasi), la loro avventura. C'è un disco dal vivo, in predicato di uscire fin dal mese di gennaio di quest'anno, ma sembra che Phil Alvin lo rimixi di continuo perché non è convinto del risultato. Dave invece se ne è andato ad Austin ed ha inciso il suo disco dal vivo senza pensarci troppo sopra. E, a questo punto, con un disco dal vivo di tale spessore, ha superato il fratello.
Già «
King of California» aveva dimostrato l'avvenuta maturità di Dave, ma la conferma definitiva arriva da questo disco dal vivo spettacolare, registrato in modo ineccepibile, che ci regala più di settanta minuti di roots rock ad alto livello. Registrato in due serate al Continental Club di Austin è il testimone più valido della forza e della vitalità di
Dave Alvin and The Guilty Men. La band è formata da musicisti rodati, già da tempo al servizio di Dave: Rick Solem (pianoforte), Gregory Boaz (basso), Bobby Lloyd Hicks (batteria) e Greg Leisz (chitarra). «
So long baby goodbye» (dal repertorio dei Blasters) apre il concerto nel modo migliore: musica ruspante e diretta, senza fronzoli, con la voce decisa del leader a condurre un brano che lascia senza fiato. «
Out in California» è una composizione nuova, vicina allo stile di Joe Ely, che serve da apripista per la lunga, bluesata e notturna, «
Interstate city», brano che da la misura della crescita dell'autore. Segue il country rock, Blasterstyle, «
Look out it must be love»: il suono è potente ed i Guilty Men sembrano proprio i Blasters: c'è il piano che gira a mille e la ritmica che non si fa pregare tanto che trovo persino una similitudine molto accentuata con il vecchio combo di Commander Cody.
La parte centrale, puro boogie, è tutta da godere. «
Mister Lee», dedicata allo scomparso Lee Allen, è un brano di tipico stile New Orleans: sembra uscito a pie pari da un vecchio vinile di Fats Domino o da una interpretazione live di Professor Longhair. Perfetto lavoro della ritmica e canzone tutta da godere, grazie al ritmo molto alto ed al grande lavoro di Solem al piano (l'assolo centrale assomiglia molto a quelli del Professore dai lunghi capelli). Poi è la volta di «
Thirty dollar room» una jam elettrica di oltre sei minuti: fluida e scorrevole la canzone si lascia coinvolgere da una melodia intrigante in cui la voce del leader assume i connotati di un narratore, mentre la strumentazione gli corre attorno. «
Dry river» è uno dei brani migliori della sua recente discografia: la canzone sta a metà tra tradizione ed attualità e la rilettura di Dave è vigorosa. Anche «
Museum of heart» fa la sua bella figura: sembra uscita da un vecchio disco dei Blasters, il suono è quello e la band assomiglia molto al vecchio combo di Los Angeles. Mi fa rabbia pensare a quello che avrebbero potuto diventare, ma Dave Alvin, lentamente, ha riconquistato il posto lasciato vacante dal fratello.
«
Hard times» è una roots ballad piena di anima, dal tessuto acustico e dal motivo decisamente votato alla tradizione: Dave ha imparato a scrivere a vari livelli.
Il brano poi diventa elettrico e la canzone si riempie di suoni e colori. «
Jubilee train» è un medley molto coinvolgente, tutto giocato sul ritmo del treno. Nasce da un tema gospel, coinvolge Woody Guthrie e Leadbelly, passa per il folk e diventa un blues e si ricopre di puro rock and roll: è una canzone dalle molte sfaccettature che conferma la duttilità dell'interprete e la bravura della band che lo supporta. La canzone parte con il ritmo di un treno, poi, mentre un'armonica detta il tempo, Dave la rallenta ed intona «
Doremi» di Woody Guthrie, quindi attacca un boogie di Chuck Berry («
Promised land»), lascia scorrere gli strumenti (pianoforte ed armonica sugli scudi), quindi rallenta nuovamente (ma c'è sempre un treno dietro le spalle) per concludere poi alla grande strappando gli applausi anche a chi non è presente sul posto.
Dieci minuti di sanissimo rock delle radici, suonato come Dio comanda. «
Long white cadillac» è la seconda canzone dei Blasters che Dave riprende e la versione, molto calda, non fa che confermare quanto scritto sino ad ora: grande feeling, ritmo indiavolato e versione da applausi che supera largamente gli otto minuti. Non sono mai stato molto positivo nei miei giudizi sui vecchi dischi solo di Dave, ma qui debbo, ed a ragion veduta, cambiare parere: Dave ha raggiunto la statura di leader e questo live lo conferma a pieni voti. «
New Florence avenue lullabye» è una ballad raffinata, tenue ed interiore, che serve a sciogliere i muscoli dopo il tourbillon di suoni del medley e di «
Long white cadillac».
Chiude il disco la nota «
Romeo's escape»: si tratta di un rock and roll travolgente, che richiama, ancora una volta, alla mente i Lost Planet Airmen di Commander Cody per il tipo di suono, per l'approccio quasi grezzo, da bar band, per la forza interiore e la continuità. Versione vigorosa e muscolare che chiude in bellezza un disco dal vivo di notevole fattura che ci riconcilia definitivamente con un musicista che, con costanza e intelligenza, ha saputo crearsi una carriera solista nuova di zecca, facendoci dimenticare una band come i Blasters.