NADINE (Strange Seasons)
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  Recensione del  10/10/2004
    

Con l'affanno che naturalmente contraddistingue molte realtà indipendenti, anche i Nadine hanno scontato una forzata pausa di riflessione, che li ha visti sparire dalla circolazione per tre interminabili anni, tanti ne sono passati dall'ultimo Lift Up from The Inside, pubblicato sul mercato europeo dalla benemerita Glitterhouse. Un'eternità se pensiamo alle dinamiche del mercato discografico di oggi, certamente non la soluzione migliore per mantenere viva l'attenzione su una band che si era giocata parecchie chances di affermazione.
Dispiace infatti ricordare che ai tempi del secondo disco, Downtown Saturday, questi cinque ragazzi originari di St. Louis, cuore del suono alternative-country, vennero definiti una delle scommesse vincenti del settore dalla stragrande maggioranza della stampa specializzata, soprattutto europea. Un amore a prima vista che col tempo sembra essersi sbiadito parecchio, tuttavia senza che i Nadine avessero in realtà accusato un calo impressionante di ispirazione. Il quarto disco, Strange Seasons arriva come un segno preciso di vitalità ed anche come uno schiaffo a chi li aveva accantonati in tutta fretta. A reggere le sorti dei Nadine - che nel frattempo sono volati in California e si sono accasati presso la Trampoline records, l'etichetta fondata da Pete Yorn e Rami Jaffee (Wallflowers) - continuano ad esserci la voce stridula e younghiana di Adam Reichmann oltre alle splendide tastiere vintage di Steve Rauner, che con il suono dell'organo marchia a fuoco il nuovo corso del gruppo (da sentire Rocking Chair Song).
Prodotto in terra texana con l'ausilio di Matt Pence dei Centro-Matic, Strange Seasons è un deciso scarto rispetto al passato. Non si abbandonano le radici rurali, ma arriva un vento pop-rock più raffinato e decisamente seventies, grazie anche alle chitarre del neo-acquisto Jimmy Griffin. Il disco, a rischio di sembrare un po' avvinghiato sulle stesse melodie, suona molto compatto: è un susseguirsi continuo di languide ballate, elettriche quanto basta (Fools, Inside Out) e più spesso adagiate su sonorità malinconiche (Friends and Lovers, Cold Chill), con una insistente impronta british-pop (Different Kid of Heartache, Bad At Goodbyes) che allontana i Nadine dalle certezze dell'alternative-country e li avvicina alle calibrate sperimentazioni degli ultimi Wilco (Beautiful, Poor Man's Vacation) Qualcuno senz'altro li troverà cambiati e storcerà persino il naso, ma l'impressione è che si siano ritagliati il loro spazio vitale.