GREG TROOPER (Between a House And a Hard Place - Live At Pine Hill Farm)
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  Recensione del  10/09/2004
    

Di ottimi dischi, oramai, Greg Trooper ne ha fatti parecchi, con l'ultimo Floating - forse - a svettare sul podio. Stupisce tuttavia la decisione di relegare Between A House & A Hard Place, che risale peraltro a circa due anni fa, al servizio del mailorder-only tramite il proprio sito internet: non sarà magari il nuovo Fillmore East, questo certamente no, ma un prodotto onesto, sentito e grintoso, complice anche l'eccellente lavoro in cabina di regia del sempre affidabile Eric "Roscoe" Ambel, lo è senz'altro.
In esso, troviamo esposte con rara convinzione tutte le principali caratteristiche della musica di "Troop", cioè a dirsi testi costantemente sopra la media, canzoni mai men che accattivanti, ballate all'insegna di un umanissimo struggimento, qualche spruzzatina d'Irlanda nonché, soprattutto, ragguardevoli dosi di melodia e sincerità. Le basi su cui ogni rispettabile singer-songwriter dovrebbe costruire la propria carriera, insomma.
La performance di Troop e dei suoi pards (citerei perlomeno il grande Duane Jarvis alla solista e il versatile Rick Shell ai tamburi) è complessivamente più che buona, ma la parte del leone se la giocano com'è ovvio le parentesi più intimiste, nelle quali il nostro eccelle, sfoderando tutta la sua verve da intrattenitore. Impossibile rifiutare la dolce seduzione di una superba Ireland (dedicata alla moglie), impossibile non commuoversi pur ascoltando per la milionesima volta i toccanti rintocchi acustici della sempre bellissima Everywhere, impossibile negare un cenno d'assenso alle amare considerazioni in salsa folkie di Lovin' Never Came That Easy.
Non mi sento di elargire le quattro stelle piene in sostanza per due motivi. Il primo riguarda la voce di Troop, non certo un capolavoro d'espressività (non lo è mai stata, in effetti), che spesso sembra la prima indiziata tra i fattori complici di un qualche sfilacciamento avvertibile qui e lì. Il secondo, e più importante, riguarda invece lo scarso impatto della dimensione più rock, quella che in teoria dovrebbe suonare più viscerale e finisce altresì col rivelarsi quella meno credibile. Intendiamoci, non si tratta di un problema di scrittura, dacché le parentesi trascinanti - la deliziosa cantabilità di Another Shitty Saturday Night su tutto - non mancano davvero; parlerei piuttosto di un'oggettiva povertà di mezzi e di estensione vocale, che impedisce al gruppo di decollare come dovrebbe nei brani dal tiro più sostenuto.
I quali - per carità - sono pur belli, talvolta magnifici: eppure, nel caso per esempio di una Little Sister, tra l'interpretazione autografa di Troop e la rilettura offerta qualche anno fa da Steve Earle, preferire la prima è un po' difficile. Ciò detto, Between A House & A Hard Place resta un disco consigliabile a grandi e piccini, ça vans sa dire.