JASON RINGENBERG (Empire Builders)
Discografia border=Pelle

       

  Recensione del  15/01/2005
    

"Yes, I am an american from Normandy to Vietnam", così Jason Ringenberg, ex leader dei Jason & the Scorchers, sceglie di introdurre il suo quinto lavoro solista, Empire Builders, una riflessione amara, pungente, ma al contempo molto propositiva, sull'immagine che gli Stati Uniti stanno mostrando al mondo. È innegabile che tutti gli eventi succeduti al fatidico 11 settembre newyorkese abbiano segnato il songwriting di numerosi artisti, tra i quali Bruce Springsteen e Steve Earle hanno rappresentato i casi più eclatanti e riusciti di questi anni.
Jason Ringenberg non gode senza dubbio delle stesse credenziali artistiche, ma riesce ugualmente a fornire una lettura che parte dalle sensazioni di un americano qualunque, dalla prospettiva dell'uomo della strada. La copertina, brutta possiamo dirlo, è tuttavia lo specchio della forte ironia di alcune canzoni contenute in Empire Builders, disco che sulle note familiari di un ruspante country-rock offre all'ascoltatore pensieri taglienti (la polka stralunata di New-Fashioned Imperialist), scarne poesie musicate (i due estremi di American Question e American Reprieve), beffarde rivelazioni (lo sbuffante roots-rock di Rebel Flag in Germany). In quest'ultimo brano, ad esempio, Jason racconta il suo stupore per aver visto sventolare la bandiera sudista in terra tedesca: un simbolo di schiavitù che non vorrebbe vedere nemmeno nel suo Tennessee, figuriamoci nel cuore dell'Europa.
Possiamo ancora esportare dignità umana e idee di progresso oppure saremo solo un impero fondato sulla forza e il materialismo? Lo chiede con grande lucidità nell'iniziale American Question, prodotta e scritta con l'amico Jim Roll: una stramba marcetta country modernista, con qualche tocco di elettronica, che confonderà forse le idee sul contenuto musicale del disco (in seguito più fedele alle radici country&western), ma non sui propostiti dell'autore: "Are we an empire all alone?/Throwing the world a rubber bone/Or can we export dignity/Respect those who disagree?" Lo sguardo volge allora verso valori stabili e figure di riferimento: lo spettro dei veterani della seconda guerra mondiale (la limpida ballata Tuskegee Pride, attraversata dal fiddle di Fats Kaplin); l'anima ancestrale dell'America dei pellerossa (il folk epico di Chief Joseph 's Last Dream); il padre di Jason, omaggiato in Half the Man; e naturalmente lo stesso rock'n'roll e i propri eroi dimenticati (Link Wray, vigoroso rock-blues in onore del grande guitar hero).
Prodotto fianco a fianco con il fido George Bradfute, Empire Builders è un disco di una lodevole onestà, prima di tutto intelletuale, di un americano che si è sentito solo, giudicato e osservato con distacco durante i suoi recenti tour europei. Oltre a questo peso simbolico, è anche il disco più personale dell'intera carriera di Jason Ringenberg.