ROD PICOTT (Girl From Arkansas)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  16/11/2004
    

Un paio di album alle spalle, Tiger Tom Dixon's Blues e Stray Dogs che l'hanno segnalato come songwriter per niente banale, Rod Picott è nato in una smalltown del Maine, dove è cresciuto musicalmente prima attingendo alla collezione dei dischi del padre, che andava da Ray Charles a Johnny Cash, poi a quella del fratello maggiore che cominciava con i Clash per finire con Patti Smith. Il gusto maturato su quei vinili si riflette oggi in Girl From Arkansas che è un buonissimo disco e un tassello importante per scoprire Rod Picott.
La titletrack (una ballata con una chitarra acustica superba e un'elettrica di contorno molto efficace) è il modello su cui si muovono poi anche No Love In This Town, Big Mean Men, Gone nonché Down To The Bone e The Last Goodbyes che sono forse le canzoni più intense del lotto. Tutto è organizzato in funzione della voce di Rod Picott che ricorda un po' l'impostazione da storyteller di John Prine, ma con un tono o due più bassa, dalle parti dello Springsteen più colloquiale e con una grazia tutta sua, anche nei momenti più cupi.
Musicisti e collaboratori sembrano essere stati reclutati proprio con l'obiettivo di prendere per mano le canzoni con cura e attenzione e infatti si tratta di strumentisti scelti con il microscopio, a caccia di una qualità e di una discrezione particolari: il bassista Dave Jacques, un veterano di Nashville, ha suonato a lungo con John Prine; Paul Griffith è stato batterista con Buddy Miller e il produttore David Henry l'abbiamo già visto all'opera con i Cowboy Junkies e in Dressed Up Like Nebraska di Josh Rouse.
Sono loro che aiutato Rod Picott a generare un sound lineare, semplice e molto rispettoso delle canzoni. Anche quando i ritmi viaggiano alla velocità del rock'n'roll, in Wrecking Ball e Kerosene non ci sono eccessi, gli amplificatori sono tenuti al minimo e gli strumenti sono cesellati con misura e gusto, tutti intorno alle parole e ai paesaggi del songwriting di Rod Picott. Qualcosa di diverso si sente in That's Where My Baby Lives, una splendida ballata acustica con un'aggiunta per niente posticcia di archi e Gun Shy Dog che comincia come una canzone di John Prine, ma poi diventa quasi un western swing grazie all'arrangiamento del dobro.
Vale la pena di ricordare ancora la conclusiva The Last Goodbyes, dove l'interpretazione di Rod Picott e dei musicisti coinvolti aggiunge qualcosa ad una canzone già intensa di suo. Un bel finale per un songwriter tutto da scoprire.