JESSE MALIN (The Fine Art of Self Destruction)
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  Recensione del  31/03/2004
    

La rivista rock inglese Uncut, la migliore del momento, ha eletto The Fine Art Of Self Destruction disco del mese, dandogli cinque stelle e paragonandolo ad album (spesso di esordio) come Murmur dei Rem, California degli American Music Club, August and Everything After dei Counting Crows, I Hope You're Sitting Down dei Lambchop, Hertbreaker di Ryan Adams e Strangers Almanac degli Whiskeytown. Paragoni altisonanti quindi, forse esagerati perché se è vero che La fine Arte dell'Autodistruzione è un disco interessante e Jesse Malin è un rock-writer da tenere sotto controllo è altrettanto vero che cinque stelle non sono roba da usare cosi facilmente.
Ognuno ha le proprie opinioni e il proprio metro di giudizio, non mi sento certo in diritto di contestare l'operato di Uncut ma preferisco andare coi piedi di piombo e aspettare di gridare al miracolo. Jesse Malin è un song-writer di New York che ha un passato punk coi D Generation, band con tre album in curriculum, l'ultimo dei quali, Through The Darkness, prodotto da Tony Visconti. L'humus in cui è cresciuto Malin è un surrogato del rock newyorchese più crudo e sanguinolento, un concentrato di New York Dolls, Ramones, Johnny Thunders e Dead Boys ma la conoscenza di Ryan Adams e l'ascolto di Steve Earle, Lou Reed e Neil Young ha cambiato la sua esistenza. Compagno di bevute e amico personale di Ryan Adams, Jesse Malin ha trovato nell'ex Whiskeytown l'aiuto per realizzare un album che si colloca direttamente, dal punto di vista stilistico, sulle orme di Demolition.
Prodotto dallo stesso Adams e registrato in soli 6 giorni lo scorso gennaio a New York, The Fine Art Of Self Destruction è una collezione di undici canzoni (c'è in più una bonus track) che alternano nostalgia e rabbia, risentimento e solitudine, gioia e amore in quella veste, molto elettrica ma anche acustica, propria dei rock-writer della Grande Mela. Si va dalla ballata introspettiva accompagnata dal piano e dalla chitarra acustica a feroci fendenti di chitarra elettrica, dal cantato malinconico e sonnolento all'urgenza espressiva dell 'outsider che cerca un rifugio in un mondo che non sembra avere un posto per lui. Vocalmente Jesse Malin è un incrocio tra Ryan Adams, Jackson Browne e Jay Farrar, musicalmente il territorio battuto dall'autore è un agro rock urbano vicino al gesto del recente Ryan Adams e a Paul Westerberg. Rispetto al primo mancano i riferimenti al country tanto cari al collega e la band è un bell'insieme di chitarre, basso e contrabbasso, piano e Hammond, batteria e percussioni.
Con tale accompagnamento Malin sa costruire ambienti diversi alle sue canzoni, non tedia e non si ripete e da prova di buona verve nello scrivere storie rock metropolitane accattivanti e ricche di caratterizzazioni. L'universo urbano con i suoi personaggi alla deriva, le bevute, le ragazze come Wendy che amano Tom Waits, Kerouac e i poeti degli anni '60 e poi ti abbandonano, le stazioni della metropolitana, gli immobili e pigri weekend passati in appartamento davanti alla Tv, il Natale a Brooklyn e la solitudine, nel disco di Malin c'è la fotografia di una New York non troppo diversa da quella scattata, qualche decade fa, dai vari Elliott Murphy, Willie Nile, Marshall Crenshaw. Sono forse un po' cambiati i modi, adesso meno romantici, ma l'essenza è la stessa.
Ecco quindi titoli che fanno Queen Of The Underworld, T.K.0, Downliner, Wendy, Brooklyn, Riding On The Subway, High Lonesome, Solitaire e The Fine Art of Self Destruction e canzoni che vanno dalla ballata elettrica allo struggente racconto col piano su uno mondo che sembra non esistere più (Brooklyn), da un rock scapigliato che sa di abbaini e Greenwich Village a ruvidi ruggiti di schizofrenia urbana, da graffi elettrici nello stile del Neil Young di Rogged Glorya quelle esplosioni di freschezza ed energia "cantautorale" (su tutte High Lonesome) che oggi hanno come rappresentante Ryan Adams. A volte brillante qualche volta acerbo ma sempre vitale e grezzo nei suoi modi rock, The Fine Art Of Self Destruction è l'interessante esordio del più stretto discepolo di Ryan Adams che, da quando si è spostato a New York, ha finalmente ridato linfa ai ribelli senza causa della città.