Dents and shells è il nuovo lavoro di studio di
Richard Buckner, cantautore dal riconosciuto talento e dall'alterna fortuna: un album che sancisce l'inizio di un nuovo contratto discografico con la piccola Merge Records, etichetta di nicchia che annovera nel proprio catalogo nomi come Lambchop, Pinetop Seven o American Music Club, e che sembra quindi perfetta per un outsider come Buckner, un musicista che affonda le proprie radici nella tradizione country-folk ma riscuote maggiori consensi tra chi segue la scena alternativa.
La carriera dell'artista comincia in Texas dove incide l'esordio
Bloomed con
Lloyd Maines in cabina di regia, un disco che gli consente di approdare al mondo delle major, strappando un contratto all'MCA, per la quale incide due lavori splendidi come
Devotion + Doubt e Since. La sua musica difficilmente classificabile, troppo country per il mercato indie e troppo alternativa per quello country, non trova i riscontri necessari per giustificare gli investimenti di una major e Buckner si ritrova a cominciare da capo con l'indipendente Overcoat Recordings, per la quale realizza l'ambizioso concept album
The Hill, progetto dedicato
all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, ed il successivo
Impasse, raccolta di incisioni casalinghe, per concludere con un disco di demo acustici, precedentemente venduto solo ai concerti.
Inciso tra Tucson, Austin e varie camere d'albergo on the road, il nuovo
Dents and shells mantiene la linea prettamente cantautorale scelta dall'artista, alternando scarne ballate acustiche a brani in cui l'accompagnamento di una band fa affiorare brillanti venature di Americana. Prodotto da
Craig Schumacher, da tempo a fianco dei Calexico,
Dents and shells appare un lavoro musicalmente più organico del precedente
Impasse, un disco in cui gli arrangiamenti misurati e le tenui coloriture strumentali mettono a fuoco la splendida linea melodica delle composizioni. Buckner canta con voce profonda e straordinariamente intensa, dipingendo ballate dai colori brumosi ed autunnali, vagamente venate di malinconia, in cui si può leggere una certa assonanza con la musica di Jay Farrar: più o meno gli stessi riferimenti alla tradizione e la stessa capacità di tratteggiare atmosfere desertiche e periferiche.
Effimeri paesaggi rurali e laceranti tensioni emozionali trapelano dalle melodie in chiaroscuro di
Dents and shells, condensandosi nello stralunato country rock di
A chance counsel, con una ritmica che batte tempi in levare ed una pedal steel che sparge languide armonie; nella ballata pianistica
Invitation, nel malinconico abbandono di
Straight, ancora il piano dietro ai limpidi accordi della chitarra acustica; o nei contorni eterei di
Her, in cui viola e steel guitar spargono leggere coloriture armoniche in bilico tra country e folk.
Accanto a sfocati e bucolici acquerelli melodici, Buckner allinea episodi minimali ed introspettivi come la claustrofobica
Firsts, solo voce e chitarra, o l'inquieta
Charmers, in cui i tamburi battono gravi rintocchi ed una chitarra elettrica freme in sottofondo. Avvolto in un affascinante gioco di luci ed ombre,
Dents and shells suona come la raccolta di canzoni musicalmente più compiuta dai tempi di
Since, di questo eccezionale story-teller.