CLAY GREENBERG (Tumbleweed)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Felice debutto da parte di un giovane cantautore nato in Texas ma che ha vissuto in Oklahoma, già leader di un gruppo country rock The Hillbilly Love Gods che si è fatto apprezzare anche dalla critica dalle sue parti negli anni '93, '94. Di chiara impronta southern, mostrando grande rispetto per la tradizione, Clay Greenberg confeziona un disco, Tumbleweed, che ha il sapore delle cose vere e genuine della sua terra e mette a confronto gli aspetti più limpidi e quelli più oscuri dell'umanità di sua conoscenza.
Sembra avere grande rispetto e considerazione per personaggi quali Guy Clark o Robert Earl Keen, che in qualche modo riesce a coinvolgere in questa sua fatica, e confeziona una proposta sostanzialmente acustica che risulta esser una riuscita e convincente miscela di country e folk con alcuni tocchi di blues. La sua voce è buona, non straordinaria né potente, ma sicuramente gradevole,i musicisti prescelti in studio, tra i quali da citare Verlon Thompson alla chitarra e al mandolino e Tommy Spurlock alla pedal steel, validi e piuttosto concentrati. Dieci i brani offerti, tutti originali meno uno.
Whenever I Fall Down è una folk ballad alla Woody Guthrie che esalta l'amore che da sollievo e sicurezza, buono l'assolo centrale di chitarra acustica, Tumbleweed Blues un piacevole acoustic blues con gran parte del lavoro strumentale affidata al dobro, My Oklahoma una decisa e intensa ballata, accurato e originale ritratto del suo stato natio che dai tempi della corsa alla terra arriva fino al recente terribile attentato di Tim McVeigh, passando attraverso il massacro dei pellerossa e la crisi petrolifera. Leavin' un'altra ballata alla Steve Earle, con un bel break di mandolino e delizioso finale strumentale, che ci invita a considerare che c'è sempre un domani da costruire, il dolore passerà anche dopo la fine di un'amore in apparenza saldissimo.
I'm So Happy I Don't Have A Gun, delizioso motivo sorretto da un'eccellente sottofondo di fisarmonica a cura di Jo El Sonnier, è una pessi m istica ma sicuramente realistica visione della società attuale.
The House Song è un delicato pezzo teso a celebrare con enfasi la proprietà della casa, con coro proposto in uno stile vicino al sound di Jerry Jeff Walker, che può contare sul contributo vocale del veterano Guy Clark. The Poor Heart Blues è un tipico slow blues, con puntuale assolo di violino, dai connotati fondamentalmente tristi che tuttavia contiene elementi di spensieratezza. Our New Favorite Song è un bel testo, dove si fa sentire un'invitante steel guitar suonata come in sordina, di cui è protagonista un'automobile che fonde nel deserto non senza prima però aver avuto la forza di dare energia alla radio per trasmettere buona musica nell'aria.
Clay canta un leggerissimo brano scritto dal fratello John, Tinsel Town, con accordion in sottofondo e stupendo ritornello corale finale, richiamando l'attenzione su di una cittadina di provincia che non è più la stessa dopo tanti anni, ma che ancora riesce a suscitare tanti bei ricordi. Interpreta infine uno dei più famosi motivi di Robert Earl Keen, Dreadful Selfish Crime, quello dedicato al crimine terribile di sciupare il tempo che ci è concesso di vivere, nel quale l'autore sostiene che la scelta individuale è tra vivere velocemente e morire lentamente, presentato in una versione un po' più slow dell'originale che non finirà mai di piacere.