TIM EASTON (Break Your Mother's Heart)
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  Recensione del  31/03/2004
    

Tim Easton è un giovane singer songwriter originario dell'Ohio, con una storia alle spalle uguale a quella di mille altri musicisti di cui ci occupiamo mensilmente su queste pagine, ma proprio per questo vera ed autentica. Tim inizia già a suonare con una band universitaria (i Kosher Spears), poi si trasferisce per qualche tempo in Europa, per poi tornare in U.S.A. con un bagaglio di esperienza certamente maggiore, sia musicale che per quanto riguarda la vita di tutti i giorni.
Pubblica un disco indipendente nel 1998, intitolato Special 20, che viene notato nell'ambiente e lo porta a Los Angeles tre anni dopo ad incidere il seguito, The truth about us, per la indie di prestigio New West, per la quale esce anche questo suo terzo lavoro, Break your mother's heart. Già The truth about us aveva ben impressionato, con le sue canzoni lucide e le presenze gradite di Victoria Williams e consorte Mark Olson, oltre a Ken Coomer, John Stirratt e Jay Bennett, ovvero tre quarti dei Wilco. Break your mother's heart non fa altro che confermare il talento di Tim: un cantautore dall'animo gentile, autore di una serie di brani delicati e semi-acustici, in bilico tra il country rock, il folk, le storie alla Townes Van Zandt ed il pop di Elvis Costello.
Un cocktail stimolante quindi, rafforzato da uno script sicuro, una buona capacità melodica, una produzione attenta e, last but not least, uno stuolo di musicisti di ottimo livello, con turnisti di valore come Greg Leisz e Hutch Hutchinson, oltre a nomi ultranoti come il chitarrista degli Heartbreakers Mike Campbell ed il leggendario batterista Jim Keltner. Dieci canzoni per quaranta minuti di musica senza cedimenti di tono. Apre Poor, poor LA. (bel titolo, alla Randy Newman), brano folk-pop a metà tra Costello e Dylan, con un accompagnamento brillante ed un uso dell'organo hammond decisamente anni sessanta.
La saltellante Black hearted ways è dotata di una melodia fresca e di presa immediata, un ritornello vincente, e si avvicina agli episodi più riusciti dei Fleetwood Mac californiani, quelli con Lindsay Buckingham in cabina di regia. L'acustica e pianistica John Gilmartin è un tenue intermezzo in cui Easton dimostra di avere diverse frecce al suo arco, e la conferma definitiva viene da Hanging tree: inizio ancora acustico, voce subito "dentro alla canzone", pochi strumenti aggiunti (tra cui un avvolgente organo) e melodia di squisita fattura. Chi scrive brani di questo tipo non è certo un pivello.
La scattante Lexington Jail ricorda da vicino i talkin' blues del primo Dylan, e si gusta tutta d'un fiato; la bella e corale Hummingbird ricorda i Fab Four (il suo soggiorno europeo qualcosa ha lasciato di sicuro); Amor azul, con Leisz al dobro, è una ballata che ci porta in territori più roots, sempre con la voce gentile di Tim in primo piano.
La lunga Watching the lightning è il capolavoro del disco: ballata di grande impatto, dotata di un motivo vincente, con uno splendido pianoforte ed un crescendo da brividi, sul genere di certe cose del grande Van Morrison. Da suonare e risuonare di continuo. Chiudono l'album Man that you need, altra riuscita pop ballad, e la breve ed acustica (ma che feeling!) True ways, quasi una folk song d'altri tempi. Un bel disco: Tim Easton è un sicuro talento, che non ha ancora firmato il suo capolavoro ma è comunque sulla strada giusta.