BORIS McCUTCHEON (When We Were Big)
Discografia border=Pelle

  

  Recensione del  30/04/2004
    

Dopo Mother ditch, il primo disco del 2001 innegabilmente passato inosservato, Boris McCutcheon trova nel produttore e musicista Craig Schumacher, rimasto affascinato dai suoi demo, un valido alleato che gli consente di confezionare un album sorprendentemente maturo e avvincente. McCutcheon, bostoniano poco più che trentenne e con trascorsi da coltivatore biologico, si trasferisce per le registrazioni nel deserto dell'Arizona con l'intento di trovare affinità con il suo concetto di musica, le cui fonti ispirative sono prevalentemente roots e il cantautorato classico, cui paga un indiscutibile tributo.
L'obiettivo per questo nuovo disco è quello di creare un suono arido, a tratti desertico e notturno, ma fortemente intenso; l'esperienza di Schumacher, noto per il lavoro con Steve Wynn e Calexico e che qui si siede dietro la consolle e all'organo hammond, nonché la particolare voce lievemente roca ed alcolica di Boris e la sua armonica dylaniana hanno contribuito a raggiungerlo pienamente. Molti potrebbero essere gli artisti cui accostare il giovane songwriter, ma l'esercizio, che non sarebbe difficile portare a termine con profitto, risulterebbe in parte riduttivo per la personalità e la determinazione che McCutcheon mette in campo; un nome soltanto, Johnny Cash, che viene da sempre proposto nelle sue esibizioni live.
Hitch a ride colpisce subito, per il suo attacco blando e io sviluppo lento, con echi di mountain music nell'atmosfera desolata e un crescendo guidato dall'armonica e dalla bella voce di McCutcheon che si infilano come una lama tagliandone la melodia.
Se country e blues si combinano in Beautiful prison e Idiot lights, ben strutturate ma che rimangono nella norma, la tensione aumenta di nuovo in Clumsy kiss, che alterna gli elementi di una ballata classica con le accelerazioni elettriche di una rock song incisiva, e nella pulsante Slow diablo, strumentale ad alta temperatura e dalle connotazioni inquietanti costruito sui riff di chitarra e su un hammond penetrante, che qui assume quasi un sound da club blues jazz.
Ottima Sad mountain, il manifesto della musica di Boris, trascinante ballata con il pianoforte a scandire la voce dell'autore, il quale ci mostra le sue qualità interpretative in Santa Rosa plums, che sprigiona profumi di Otis Redding in versione agreste. When we were big ha il pregio spesso raro di non concedersi pause continuando ad alimentare l'attenzione dell'ascoltatore, che perdura anche dopo numerose riproduzioni.
Il tessuto chitarristico puro ed equilibrato di elettrica, acustica e pedal steel in Gift house, la forza di Fine suede e delle più intimiste Meet me e il traditional Mole in the ground, che richiama le atmosfere dell'ultimo Kieran Kane, sono ulteriori assaggi della vena lucida del protagonista, costante per tutto il lavoro.