KEVIN WELCH (You Can't Save Everybody)
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  Recensione del  21/10/2004
    

Primo disco di studio in duo per i due musicisti di punta della Dead Reckoning, Kieran Kane e Kevin Welch, dopo il bel live acustico di quattro anni orsono registrato a Melbourne ed il disco collettivo a nome Dead Reckoners con gli altri membri della piccola label (Mike Henderson, Tammy Rogers e Harry Stinson). You Can't Save Everybody è decisamente un signor disco, un lavoro fatto con amore da parte di due songwriters molto bravi che raramente quando fanno un disco mancano il bersaglio.
Due musicisti abbastanza simili, che però vengono da storie diverse: Kieran Kane ha un passato di grande successo come co-leader con Jamie O'Hara del duo di country rock O'Kanes (Tired of the runnin', del 1988, è un grande disco), per seguire poi con una carriera solista con meno soddisfazioni commerciali ma con diversi dischi di ottimo livello (da avere almeno Dead Reckoning, da cui prende il nome l'etichetta discografica dei due, e The Blue Chair quattro anni fa. Kevin Welch ad inizio carriera era considerato una delle next big things per quanto riguardava il new breed del country, ed in effetti il suo esordio omonimo del 1990 era una vera bomba, bissato due anni dopo dal grande Western Beat, un album di cui sia Steve Earle e Joe Ely sarebbero stati fieri.
Poi Welch sposta l'asse della sua musica verso un cantautorato folk di minor impatto spettacolare, ma con validissimi risultati: sia Life Down Here on Earth che Beneath My Wheels che Millionaire sono lavori pieni di canzoni di spessore, degne di musicisti molto più blasonati di lui.
Era nella natura delle cose che i due dovessero prima o poi incidere un disco in studio come duo, ma la qualità di You Can't Save Everybody va ben al di là di ogni più rosea previsione, ponendo il disco fra i più riusciti delle loro carriere. Dodici brani, sei per Kane e sei per Welch, in cui i due, oltre ad alternarsi alla voce solista, suonano un gran numero di strumenti a corda (e nel caso di Kane anche qualche leggera percussione), coadiuvati solo da Fats Kaplin (accreditato anche in copertina) al banjo, violino e fisarmonica e da Claudia Scott come backup vocalist in una manciata di pezzi.
Una veste sonora spoglia quindi, ma è proprio grazie a ciò che risaltano la bellezza e la purezza dei brani, tutti originali, scritti dai due: una serie di canzoni in bilico tra folk, country e blues, eseguite alla maniera delle vecchie folk songs appalachiane, suonate con grande perizia e cantate con voce calda dai due leaders. Un disco cantautorale quindi, un piccolo grande disco che scalderà i vostri cuori nelle prossime serate autunnali, dodici acquarelli di grande intensità dalle melodie pure e limpide.
È quasi inutile citare un brano piuttosto che un altro, tanto il disco è compatto ed unitario, ma ascoltate ad esempio la title track, un folk blues d'altri tempi, o la purezza di Dark eyed gal, o Somewhere in the middle, mossa e coinvolgente, con Kaplin superbo alla fisa, o ancora l'intensa e bellissima Flycatcher Jack and the Whippoorwill's Song, uno degli highlights del disco, dimostrazione della bravura di Welch come autore (ed è in possesso pure di una bella voce, migliore di quella di Kane).
Ma non sono certo da meno brani come Hillbilly Blue, la bluesata Jersey Devil, Till I'm too old to die young, con suggestivo finale per sola voce, o lo strumentale Cecil's Lament, con echi d'Irlanda. Un disco sorprendente, anche se da due autori sopraffini come Kane e Welch era lecito aspettarselo. Folk album of the year?