TOM WAITS (Real Gone)
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  Recensione del  21/10/2004
    

Real Gone è una sfida. Un disco infarcito di Blues, ma non nella maniera tradizionale. Waits rifiuta le owietà e si getta in un tourbillon di suoni e rumori, dove la melodia ha sempre meno spazio e la ricerca si fa sempre più avventurosa. Una scelta radicale, fatta però in funzione delle canzoni che il nostro interpreta. Real Gone è un disco influenzato dal blues (Make it Rain su tutte), ma non è un disco di blues. È un lavoro intenso in cui confluiscono elementi attuali come tracce di hip hop, groove jamaicani, ritmi e melodie di derivazione africana e latina.
Waits chiama questo melting pot cubist funk e questo disco allontanerà ulteriormente i suoi fans ancora legati al romantico balladeer degli anni settanta. Quel Tom Waits è scomparso ed in Real Gone non ve ne è traccia. Ne ve ne sarà in futuro. Real Gone richiede passione e pazienza, va distillato nota dopo nota, bisogna dargli tempo, ma poi matura, cresce e anche i rumori diventano suoni, si modificano, diventano forme sonore con una logica, legate le une alle altre. Se l'iniziale Top of the Hill è un pugno nello stomaco, al primo ascolto, poi diventa imprescindibile.
Fa lo stesso effetto di un brano di Ornette Coleman, ti assale con suoni vibranti e disarmonici, ma poi ti coinvolge. Un disco certamente non facile, che richiede prolungati ascolti ma che rivela poi canzoni di grande fascino: canzoni come Hoist That Rag, Sins of My Father, Dead End Lovely, Trampled Rose,, le già citate The Day After Tomorrow e Make it Rain. Il beat latino di Hoist That Rag è tra le cose più affascinanti sentite ultimamente (fa il paio con Kitate, l'ardita e umoristica collaborazione del nostro coi Los Lobos), ma ha più grinta e forza inferiore.
E se Day After Tomorrow rimane una delle canzoni più intense e commoventi di quest'anno, da sentire e risentire per lungo, lungo tempo, che dire dealla notturna Dead and Lovely, che lascia di stucco per la bellezza. Waits non concede nulla ma è in grado di fare sempre e di continuo grande musica, checché se ne dica. Detrattori e nostalgici sono banditi, Waits va dritto per la sua strada. Amatelo o lasciatelo. Settanta minuti di musica, settanta minuti di emozioni, per un disco che dura a lungo, molto a lungo e che, se all'inizio richiede attenzione, poi si fa fatica a levarlo dal lettore.
E se non mi credete, ascoltate Make it Rain, Sins of My Father, Green Grass, How Is It Gonna End, la tragica Circus, Trampled Rose. Canzoni così oggi le scrivono in pochi. E poi, alla fine, Day After Tomorrow, per chiudere il cerchio in bellezza. Una canzone pura, una sorta di ninna nanna post bellica che non lascia dormire sonni tranquilli. E come potrebbe?