STEVE EARLE (The Revolution Starts… Now)
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  Recensione del  09/09/2004
    

Steve Earle è uno strano personaggio. Da quando ha iniziato a ricostruire la sua vita e la sua carriera, ha cambiato aspetto diverse volte. La rinuncia alle droghe ce lo aveva riconsegnato grasso e decisamente mutato, poi il suo aspetto è via via cambiato, sino ad essere quasi irriconoscibile, rispetto al rocker ribelle ed al countryman non indottrinato degli anni ottanta. Ora abbiamo davanti un uomo magro, con tanto di occhiali e con il volto scavato.
Il viso di persona che ha sofferto, che dalla vita non ha avuto regali ma ferite, che ha vissuto sulla sua pelle esperienze negative. Ma dal 1995 in poi, dallo splendido Train A Comin', Steve è tornato tra noi, più bravo che mai, più combattivo che mai. Noi del Busca lo abbiamo sempre sostenuto e lui ci ha gratificato con una serie di dischi di alto livello ed ora conferma tutto quanto di buono abbiamo sempre scritto. The Revolution Starts... Now mischia la sua sempre felice vena di autore con forti connotati politici, specialmente in Condi Condi e Fuck the CC, e gratifica l'ascoltatore con una serie di canzoni di alto livello. The Revolution Starts... Now è dello stesso livello di Jerusalem, Transcendental Blues, I Feel Allright ed El Corazon: contiene undici canzoni nuove e non c'è una sola nota da buttare.
Quello che sorprende è la vena lirica che, da sempre, appoggia le composizioni di Steve, la sua bravura nel tradurre in note la sua voglia di tradizione mischiandola con sonorità moderne ed arrangiamenti rock. The Revolution Starts... apre, e chiude, un disco intenso e vissuto. Si tratta di un brano rock teso dalle aperture elettriche potenti, con il nostro che declama liriche forti: "Stavo camminando giù per la strada, nella città dove sono nato, mi stavo muovendo verso sensazioni che non avevo mai provato prima. Così ho aperto i miei occhi ed ho cominciato a guardarmi attorno e lo ho visto scritto nel cielo: La rivoluzione inizia ora, Yeah, la rivoluzione inizia ora".
Parole forti, ma dette con il cuore. Steve è, da sempre, impegnato contro la pena di morte e coinvolto in varie associazioni non violente e la sua musica, pur permeata di dolcezza, ha sempre dei testi intensi e pieni di forza, contro l'establishment, contro il modo di agire della classe dirigenziale americana: non ha mezzi termini ed in questo disco la sua protesta si fa ancora più forte, uscendo allo scoperto. Earle ha sempre usato la sua musica per dire quello che pensava, ma ha sempre alternato testi politicamente impegnati con altri che non lo erano: The Revolution Starts... Now rompe gli indugi e si mette contro Bush e la sua congrega. E Steve non è solo in questa battaglia ed è appoggiata da stelle di prima grandezza come Bruce Springsteen, Emmylou Harris e decine di altri. Home to Houston ha un tempo veloce, mischia rock e radici, ed ha un ritornello di fondo dannatamente piacevole, con il folk che si mischia al rock, quasi fosse una canzone dei Byrds registrata coi suoni di Steve.
Il gioco delle voci ben si adatta ad un composizione che resta subito in mente e che fa salire il livello del disco. Rich Man's War, la guerra dell'uomo ricco, ha delle liriche coraggiose (parla dell'uomo comune, del ragazzo che va a fare il soldato perché non ha altri posti dove andare, e che viene sbattuto a Baghdad a combattere la guerra dell'uomo ricco) ed è una canzone di una bellezza struggente. Dolce nella struttura, tesa nel ritmo, ha un organo che tesse una melodia di fondo monotona, mentre il nostro canta le sue liriche e la canzone si erge fiera. Warrior (Guerriero) non cala i toni belligeranti dei testi: questa volta Steve parla, più che cantare, e racconta una storia tragica, senza via d'uscita, una storia di guerra. Una canzone elettrica, potente e profonda, con il beat duro della ritmica e la chitarra che scava nella mente.
The Gringo's Tale non abbassa il tiro dal punto di vista delle liriche, ma è una ballata di stampo folk rock (con tanto di archi), cantata con voce distesa e suonata in modo brillante dai Dukes (Eric "Roscoe" Ambel, Kelley Looney, Will Rigby, Patrick Earle).
Si respira l'aria delle immense pianure americane in questa composizione, anche se il testo ci allontana da queste visioni di pace e natura. Condi Condi stacca decisamente con qualunque altra canzone del disco. È una composizione di stampo quasi latino, molto solare nella melodia, ma il testo (Condì altro non è che Condaleeza Rice) è duro ed anti governativo. Ma la canzone è decisamente godibile e sembra quasi uscita da un disco di Jimmy Buffett. Fuck the CC è ancora più violenta dal punto di vista del testo, e la musica è puro rock and roll, come Steve non ci faceva sentire da tempo. Rock chitarristico con Roscoe scatenato ed i Dukes che macinano suoni.
Dopo una canzone di questo spessore ecco una ballata ad ampio respiro. Comin' Round ci riporta l'autore di Goodbye e di altre canzoni senza tempo: una slow country ballad resa ancora più gradevole dalla doppia voce di Emmylou Harris e dall'uso di un'armonica dylaniana. Proprio in questo sta la bravura dell'autore: nel fare musica, vere canzoni, e, al tempo stesso, dire la sua contro un governo che gli Americani mostrano di gradire sempre meno. I Though You Should Know è un lento abbastanza normale, ma dopo tante belle canzoni si può anche capire.
Ma The Seeker ci riporta il miglior Steve con un splendida composizione di stampo folk rock, con il suono dei Byrds nei solchi più profondi ed un motivo country rock dalla vena aperta e comunicativa. Una canzone che ci fa sperare in un futuro migliore. Chiusura, come già detto, con una versione più lunga di The Revolutions Starts… Now. I Dukes suonano in tutto il disco, mentre in Gringo's Tale c'è un quartetto d'archi diretto da Chris Carmichael. L'album è dedicato a Johnny Cash e Warren Zevon, con una breve nota dopo i loro nomi: Ci vediamo quando sarò lì, fratelli. Un disco prezioso e coraggioso.