CARY HUDSON (Cool Breeze)
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  Recensione del  09/09/2004
    

A differenza di tanti, troppi dischi co struiti intorno ad una canzone o due, che poi vanno spegnendosi una volta superata la metà, Cool Breeze di Cary Hudson è un disco che promette bene fin dall'inizio e quando arriva in fondo è persino meglio. La sequenza iniziale non lascia un alito di spazio ai dubbi: Things Ain't What They Used To Be è un rullo compressore rock'n'roll e What The Old Man Told Me è un altro grande brano, nella tradizione dei Blue Mountain (ed è sempre più evidente che era lui l'unica anima di quel gruppo).
Una canzone dall'incedere lento e solido, con le chitarre che arroventano l'aria. Lo spirito è quello di Neil Young con i Crazy Horse, che, sembra di capire, è la spiritual guidance di Cary Hudson e infatti nel finale la sua slide manda ululati degni dei coyote. Quando un disco comincia con due canzoni così, non è difficile andare avanti, anzi: anche se da Cool Breeze in poi le canzoni non sono tutte elettriche e monolitiche come Things Ain't What They Used To Be e What The Old Man Told Me, Cary Hudson si conferma un protagonista della rivisitazione delle radici del rock'n'roll. Il Delta blues della stessa Cool Breeze, quelle ballate in cui Cary Hudson si distingue, come songwriter e cantante (8 Ball Blues e Bay Street Blues, entrambe bellissime), il Little Feat sound di Ain't No Tellin' (un attacco strepitoso), il fingerpicking di Don't Hasten Away e Muddy Waters evocato in Haunted House Blues nonché l'acidissimo country & western di Free State Of Jones mostrano che la sua conoscenza dei luoghi e delle storie che hanno partorito il rock'n'roll è profonda e paroramica nello stesso tempo.
È per questo che in Cool Breeze l'alternarsi di atmosfere, anche parecchio contrastanti e divergenti, come se Cary Hudson avesse coltivato tutti gli estremi dei Blue Mountain e li avessi fatti crescere insieme. Basta sentire il passaggio tra Jellyroll e Little Darlin' per rendersene conto. Il primo è un torrido rock'n'roll che George Thorogood potrebbe far suo, e se ci mettete un paio di birre diventa anche una grande canzone, ma una volta finiti i rumori (devastanti) compare una chitarra acustica dolcissima che profuma della stessa aria alla fine dell'estate. Potrebbe bastare a fare di Cool Breeze un bel disco, grezzo, sincero e appassionante fino in fondo, ma a dirci che Cary Hudson è avviato anche verso livelli superiori arriva, proprio alla fine, Some Things Never Change.
A dispetto del suo titolo, mostra che qualcosa può anche cambiare perché è una canzone con una dolcezza speciale che, a tratti, sembra persino una vecchia soul ballad e questa potrebbe essere un'indicazione importante per il futuro di Cary Hudson e della sua musica. Un ottimo disco e neanche un rimpianto per i Blue Mountain (che pure erano una bella rock'n'roll band).