BILL TOMS & HARD RAIN (My Own Eyes)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Per chi frequenta le cronache del rock americano il suo nome non è nuovo perché da un sacco di tempo Bill Toms è il chitarrista degli Houserockers, la band dello Springsteen-operaio Joe Grushecky. Cresciuto musicalmente nella band di Grushecky, Bill Toms ha recentemente avviato una carriera solista parallela al suo impegno con gli Houserockers, arrivando in poco tempo al suo secondo disco, My Own Eyes, registrato con gli Hard Rain ovvero gli Houserockers Joe Pelesky alle tastiere e Joffo Simmons alla batteria più Vinnie Q alla chitarra e Melvin Moten al basso.
Come si deduce facilmente l'ambiente musicale di Bill Toms è quello di Pittsburgh ovvero rock di matrice urbana con forti riferimenti alla realtà della città, ex capitale della siderurgia con una forte immigrazione russa e polacca di vecchia data (ve lo ricordate il Cacciatore?) poi riciclata nell'elettronica. Naturale, quindi, aspettarsi da Bill Toms un disco dai ruvidi riferimenti blue collar, almeno nei testi, con una decisa presenza di ballate dal taglio crepuscolare ed urbano e qualche escursione nella birrosa euforia del pub serale, momento in cui i problemi della vita quotidiana vengono lasciati da parte ed il protagonista diventa il rock'n'roll ed il suo tasso alcolico.
Uno scenario non nuovo se si pensa a quanti, nella fredda ed industriale East Coast, hanno cantato il grigiore della dura realtà e la voglia di fuga con una rock n'roll band. Il rappresentante massimo di questa scena è sicuramente Bruce Springsteen e alla sua musica ci si riferisce quando in gioco c'è un rocker che possiede lo stesso background sociale ed ambientale. Cosi è per Bill Toms e per il suo My Own Eyes un disco che, nonostante le prerogative ed il taglio musicale assolutamente classico, suona fresco e con una buona dose di canzoni credibili.
My Own Eyes è difatti più "leggero" e frizzante dei recenti lavori di Grushecky, troppo cristallizzati in una versione da Springsteen di serie B e mette in scena un rockwriter dalla spigliata vena compositiva che si cimenta bene soprattutto nelle ballate dove la sua voce arrochita e malinconica, un po' Jon Dee Graham ed un po' Elliott Murphy dipinge situazioni notturne e solitarie tipiche di quel rock da oscurità ai margini della città.
In questo gli Hard Rain gli sono congeniali perché non sovrastano mai il clima desolato di queste ballate, lavorano con gli strumenti elettrici e col piano ma non invadono la canzone lasciandola respirare dei propri silenzi, delle proprie pause, dei dettagli tanto minimi quanto essenziali per coglierne l'atmosfera malinconica e da outsider. Sono tanti i riferimenti che si possono fare per "spiegare" My Own Eyes. Da Grushecky, per forza di cosa, che canta con Toms in Right On Time, un brano che mi ricorda gli umori intimisti di Tunnel Of Love, ali' Elliot Murphy di Just A Story From America nella romantica ed epica Made In America e nella nostalgica Long Farewell, una ballata dalle linee morbide e folkie che potrebbe essere uscita anche da Tom Joad.
Bill Toms non è un copiatore perché di fatto non vuole assomigliare a nessuno e quindi evita il pericolo della clonazione. La sua voce è già sentita ma nei diversi brani assume sfumature e toni diversi, regalando ad ognuno di questi una vita propria così da scongiurare monotonia e ripetizioni. Così facendo realizza un disco che è completo di tutte le sfaccettature del buon rock urbano d'autore: suona robusto con sax e chitarre quando shakera la ruvida euforia di una bar-boogie band e lascia spazio ai pensieri quando di mezzo ci sono ballate che non sfigurerebbero su un disco del primo Tom Waits, ad esempio The Heart Of Saturday Night.
Capita quindi di sentire il rauco rantolio del Mulo quando le luci si spengono e l'unico locale aperto è lo Smithfiled Cafè oppure quando la solitudine è in compagnia dell'alcool e del blues in Somebody Call The Doctor I Think I'm Gonna Blow. All'estremo opposto ci sono le ballate dall'ossatura folk dove chitarra ed armonica ricordano i maestri del genere e ariosi rock n' roll (My Own Eyes) con tutta la band in pista ad evocare gli spazi e i suoni della mitologia coast to coast, cosi' come li ha immortalati Tom Petty.
Senza grandi pretese Bill Toms ha realizzato un disco che non mugugna e piagnucola sui bei tempi andati ma prende l'immaginario del blue-collar rock americano e lo rolla in dodici canzoni schiette ed oneste.