Tommy Howell è un attore, continua a saperlo fare, ma durante la pandemia ha scoperto che la scrittura in musica iniziava a spingerlo verso una chiara direzione, incidere un disco.
American Storyteller carica rock, liberato dai bagliori dell’alcol nell’iniziale spinta, felice direi, trovata in
Whiskey Demon, piazza l’armonica a fare strada al passo ‘roots’ che apre
Rose Hill o in
Miss Maybelle, sarà stata la giovinezza passata in un ranch, tra rodeo e cowboys in famiglia (il padre), Tommy Howell scopre di aver qualcosa da dire.
Vibrano a dovere
Lady Luck e
Raised By Wolves, il rock acquista senso, lo costruisce in progress Tommy Howell, per allusioni e implicazioni apparentemente disperse nelle praterie americane, eppure conseguenti e logiche, necessarie in
Cold Dead Hands.
Le ballate agresti nel finale hanno fascino e riflessioni che hanno peso (
Hell Of A Life a
Hope I Ain't Dead e
Possessed), e American Storyteller ribadisce di non essere una presenza aliena, un unicum nell’orizzonte geografico e sociale di Hollywood, ma incarna una possibile contro-storia dello spazio cinematografico americano.